Raccontavo ieri che la prima volta che Alice era stata ricoverata in isolamento, cinque o sei anni fa, dopo che un ospedale ci aveva detto: “speriamo che questo (terzo) antibiotico funzioni, altrimenti non sappiamo cosa fare”, il nostro ex immunologo bravissimo ha messo in isolamento in un altro ospedale Alice per una settimana. Ci alternavamo io e la Genia, a stare con lei in questa camera blindata, dove i dottori entravano scafandrati. Nonostante Alice fosse in una situazione veramente critica, aveva il Paporco o alternativamente la mamma a disposizione tutto il giorno e tutta la notte. Man mano che passavano le ore, Alice stava meglio e anche il suo umore migliorava ed era contenta di avere i suoi genitori tutti per sé in esclusiva, 24 ore su 24 invece di quelle poche ore ogni giorno.
Allora, quattro o cinque anni, non aveva le parole per esprimere questo concetto, la verbalizzazione di questo stato d’animo, è arrivato qualche anno più tardi da parte di sua sorella.
In pieno lockdown, io ero a casa in smartworking, Alice e Agata, compiti, studio e didattica a distanza. Ci alzavamo al mattino, facevamo colazione, poi ci sedevamo al tavolo: io lavoravo, loro studiavano, poi giocavamo, cucinavamo, mangiavamo insieme, si guardava un cartone, fiaba e poi a dormire tutti insieme: anche qui 24 ore su 24 in esclusiva.
Agata un giorno mi guardò, credo mentre costruivamo qualcosa con i lego e disse: ”Papi, io vorrei che il covid non finisse mai".
Almeno qualcosa di buono l'ha fatto la bestiaccia
RispondiEliminaE non le hai dato una fetta di salame...io l'ho fatto ed è stato bellissimo!
RispondiElimina